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Per interiorizzare gli insegnamenti di crescita personale, non basta metterli in pratica, ma bisogna saperli anche insegnare.

“Chi sa fa, chi non sa insegna”

Detto popolare.

Nota dell’autore: pubblico oggi un guest post di Riccardo Tommasini, 20 anni, studente di ingegneria informatica, blogger appassionato di comunicazione. Ha inserito la crescita personale tra i suoi interessi dopo aver letto il libro: Il monaco che vendette la sua Ferrari. Ora scrive di Web 2.0, GTD e molto altro nel sito Dynamick.it. In questo articolo Riccardo condivide con noi le sue riflessioni sull’importanza dell’insegnamento come strumento di crescita personale.

Dovrebbe essere alla base della crescita personale, del migliorare se stessi, la capacità di capire i propri errori e di lavorarci sopra, per ricavarci qualcosa di buono. Soprattutto bisognerebbe imparare a lavorare sulle situazioni che ci bloccano, che ci impediscono una presa di posizione, che non ci fanno essere chi siamo veramente.

Per questo motivo bisogna insegnare.

Chi sa fa, chi non sa insegna

Quel vecchio detto, “chi sa fa, chi non sa insegna”, è nato con un messaggio ben preciso: diffida di chi dispensa lezioni gratuite, perché le migliori lezioni che imparerai sono quelle che tu stesso impartisci.

Di solito si esalta il punto di vista del lettore, di chi, sviluppando spirito critico, può essere maestro di se stesso. D’altro canto anche chi insegna ha un ritorno sensibile.

Pur non essendo importante il destinatario, la presenza di un pubblico aiuta a considerare gli impegni validi, apprezzati, e sprigiona una necessaria autocritica che non può che migliorare il proprio lavoro.

Ecco dunque perché ho iniziato ad occuparmi in prima persona di sviluppo personale, perché avevo veramente bisogno di prendere in mano la capacità di migliorare me stesso ed arrivare ad utilizzare tale capacità. Così ho capito che il miglior modo per approfondire fin dove siamo “capaci” e cosa ancora dobbiamo imparare è confrontarsi con qualcuno che sia in grado di ascoltarti veramente: chi vuole imparare.

Il concetto di qualità

Ho deciso di iniziare il mio percorso ragionando sul concetto di qualità.

Ho letto un libro che credo abbiano letto in molti, “Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta“, che ha ispirato questa mia riflessione.

Il primo impulso? Smentiscimi, e poi sarai d’accordo con me.

Il motivo per cui un tentativo di autoanalisi spesso si manifesta molto più efficacemente in un post destinato ad essere letto da molte persone, piuttosto che sulle pagine del proprio diario personale, è che un’esternazione, in qualunque forma, nasce nel tentativo di essere assoluta.

Quando esprimiamo un’opinione, prima che essa esploda in un ragionamento, questa rappresenta per noi un assioma inconfutabile. Allo stesso modo un articolo, o una qualsiasi espressione di noi stessi, nasce per definire qualcosa di immutabile e viene costruita per non essere confutabile.

Il risultato è dato dall’attenzione a particolari impercettibili ad una prima lettura, dal perfezionismo, dalla paura di essere colti in errore dai propri destinatari.

Il “Tentativo di Insegnare” ci spinge ad un’empatia che non avremmo normalmente.

La semplice comunicazione si ferma ad affermare qualcosa, l’insegnamento va oltre ponendoci nei panni dei nostri lettori (o pubblico in generale) con due effetti, uno immediato e l’altro postumo, entrambi estremamente importanti:

  • Nell’immediato, esplicitiamo e semplifichiamo il nostro pensiero, arrivando a sgrovigliare i nodi più contorti, che ci impediscono qualsiasi miglioramento, ma che sono invisibili ai nostri occhi.
  • Dopo, con un successo, l’egocentrismo di chi sente la necessità di esprimersi a tutti i costi si esalta, allora si che otteniamo un riscontro nel nostro lavoro. La fiducia nei propri mezzi è alla base di qualsiasi progetto, e non significa non ammettere i propri errori, ma esaltare un contrasto che non può che produrre nuovi contenuti.

Ecco dunque perché ho scritto questo post, per trovare, attraverso i miei ragionamenti ad alta voce, le strade che mi portano verso un completo miglioramento personale, sperando di incontrarmi talvolta con qualcuno di voi lettori appassionati!

Foto di Jiuck

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Umberto

Forse non ho capito niente io, ma ho come l’impressione che ci sia qualche contraddizione in questo articolo.
“Chi sa fa, chi non sa insegna.”
Detto popolare ok, però nella mia ignoranza interpreto questa frase così: chi sa fare qualcosa la mette in pratica, chi invece non la sa fare dice agli altri come farla.
Se questa interpretazione è corretta sono d’accordo parzialmente; spesso chi non sa fare qualcosa accusa te di non saperla fare, e questo è verissimo.
Ma è altrettanto vero che ci sono tantissime persone in grado di fare egregiamente quella cosa e, allo stesso tempo, d’insegnarla ad altri con molta efficacia.
Quello che però non capisco del messaggio di quest’articolo è proprio la seconda parte della frase: “chi non sa fare insegna.”
Per quale motivo dopo scrivi che il tentativo d’insegnare ci spinge ad un’empatia che non avremmo normalmente?
Sono d’accordissimo che insegnare equivale anche ad imparare e quindi ad entrare in empatia con altre persone, ma noto una certa discordanza con il titolo del post.
Sicuramente non ho afferrato bene il concetto, illuminami Andrea, plaese.

Ilaria Cardani

Confesso che anche a me, leggendo questo post, mi sono aumentati alcuni aggrovigliamenti e non ne ho sciolto nessuno. Ma tempo qualche minuto, ritorno alla consueta quiete, no problem.
Lo definirei un post “sperimentale”, e le sperimentazioni sono sempre interessanti, purché non si abusi della pazienza e dell’attenzione altrui.
Le sperimentazioni sono provocazioni e sinceramente io adoro le provocazioni.
Riccardo rivela il suo intento, del tutto personale, in chiusura: cerca, esprimendosi ad alta voce, strade che lo portino verso un completo miglioramento personale (curiosità: già il termine “miglioramento personale” è piuttosto vago. Ma “completo” che significa? Devo dire che “completo miglioramento personale” mi suona un po’ dittatoriale, totalitario. Una cosa un po’ da gulag, da campo di correzione, da lavaggio del cervello. Del resto ci sta anche con la definizione di opinione come “assioma inconfutabile”. In realtà “opinione che rappresenta un assioma inconfutabile” è quel che si dice un “ossimoro”, una accostamento di opposti in contraddizione tra loro. De gustibus…).
Detto ciò, credo che insegnare, nell’accezione più pura del termine, sia un modo straordinario di imparare e di “trasformarsi”. L’insegnamento è una forma altissima di comunicazione, di trasmissione, di amore e di condivisione. E’ insomma un’opportunità di crescita unica e irripetibile.

Andrea

Anche io come voi conoscevo l’interpretazione “negativa” del detto citato. Eppure mi è piaciuta l’idea di Riccardo di fornire un nuovo punto di vista, ma soprattutto mi è piaciuto il messaggio chiave di questo post: se vuoi interiorizzare un insegnamento… insegnalo. Questo infatti è anche uno dei motivi per cui ho deciso di creare il Blog EfficaceMente.

Per il resto, lo stesso Riccardo mi ha chiesto feedback su questa suo primo post di “crescita personale”… quindi non esitate: sono certo li apprezzerà molto.

Riccardo

Ciao a tutti,
intanto grazie per esservi espressi!
cercherò di fare un discorso omogeneo che comprenda tutti i punti toccati da voi:

Ilaria a centrato l’intento, questo post è anzitutto una provocazione. Premetto che non era mia intenzione farcirlo di verità, ma tentavo esternare il messaggio che l’insegnamento è stato per me un modo di imparare qualcosa, soprattutto quello che stavo insegnando.

Questo articolo dovrebbe esserne la dimostrazione: il fatto stesso di scriverlo richiederebbe una certa conoscenza nella materia, invece lo sforzo creativo, che è necessario all’insegnamento, mi ha portato ad ottenere un messaggio che non avevo già pronto in testa. In questo modo ho ottenuto su di me un effetto che posso considerare “miglioramento”.

La scelta dello stile, vuoi le figure retoriche, vuoi l’utilizzo di frasi decise sono dovute, nel mio piccolo, ad un’esperienza di scrittura un po’ artistica che non esercito normalmente nei miei post di tecnologia. Mi sono un po lasciato andare ecco :)
Inoltre le consideravo funzionali, perché trasmettono di più il coinvolgimento nello scritto.

Infine riguardo all’estensione del significato del detto:
per il titolo ho scelto una frase forte, che metteva già il lettore in una posizione di contrasto rispetto al testo, quasi antipatia. Ho poi cercato di contestualizzare il detto, arrivando alla conclusione che ci siano due possibili situazioni: come avete detto voi, quella negativa; e poi una sfumatura di avvertimento, che mette in guardia dall’apprendere senza spirito critico.

Grazie ancora per i feedback mi hanno fatto molto piacere perché erano carichi del sentimento che mi interessava.
Grazie ancora Andrea per l’opportunità!

roberto

Ciao Riccardo.

Insegnare per imparare, cioè rendere chiaro nella mente sia di chi insegna che di chi impara, è un ottimo metodo per migliorarsi.

Come dice Ilaria, migliorarsi però è vago. Cosa nello specifico migliora chi insegna?. Probabilmente la qualità. Qualità di ciò che va ad insegnare ( approfondimento della materia), la qualità di comunicazione ( chiarezza e semplicità dei concetti), la qualità dei sui “allievi” ( alto tasso di miglioramento).

Nella risposta citi lo spirito critico. Ecco la prima cosa che si impara con molto spirito critico è che non ci sono assoluti nel percorso di miglioramento. Ogni livello, ogni step che si raggiunge è solo il completamento di quello passato e la preparazione a quello successivo. E qui si realizza in pieno il detto “chi sa fa, chi non sa insegna”.
Chi sa di poter avanzare nel suo percorso formativo fa il suo passo successivo.
Chi non sa attende, studia e insegna a chi incontra lungo il percorso quello che ha imparato.

Ciao :-)

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